Nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 20 novembre u.s. è stata pubblicata la legge 19 novembre 2021 n. 165 con cui è stato convertito il decreto-legge n. 127/2021 recante, per quanto di interesse specifico, la disciplina concernente l’obbligo di “Green Pass” in ambito lavorativo privato, in vigore come noto dallo scorso 15 ottobre.
Tralasciando alcune modifiche formali che correggono imprecisioni lessicali contenute nel decreto n. 127, si evidenziano di seguito le principali novità introdotte in sede di conversione:
- con specifico riguardo ai lavoratori somministrati, la legge ora precisa che la verifica del rispetto delle prescrizioni “compete all’utilizzatore, mentre al somministratore è fatto obbligo di informare i lavoratori circa la sussistenza delle predette prescrizioni (articolo 9-septies, comma 4, del decreto-legge n. 52/2021 convertito in legge n. 87/2021, introdotto dall’articolo 3 del decreto-legge n. 127/2021 convertito in legge n. 165/2021).
La norma supera una “FAQ” del Governo che in un primo momento aveva sostenuto l’obbligo del duplice controllo sui lavoratori somministrati, sia a carico dell’Agenzia somministratrice che dell’utilizzatore.
Ora è chiarito che la verifica è onere della sola impresa utilizzatrice, spettando al somministratore solamente, come detto, il compito di informare i dipendenti circa la normativa in materia;
- scadenza delle certificazioni verdi COVID-19 in corso di prestazione lavorativa: è introdotto un nuovo articolo 9-novies, il quale prevede che in caso di scadenza della validità della certificazione verde COVID-19 in corso di prestazione lavorativa, non si dà luogo alle sanzioni previste per il caso di mancato possesso di “Green Pass”. In tal caso la permanenza del lavoratore sul luogo di lavoro è consentita esclusivamente per il tempo necessario a portare a termine il turno di lavoro (articolo 9-novies del decreto-legge n. 52/2021 convertito in legge n. 87/2021, introdotto dall’articolo 3-bis del decreto-legge n. 127/2021 convertito in legge n. 165/2021);
- il Legislatore ha aggiunto un’ulteriore previsione, di particolare rilevanza ai fini organizzativi, in base alla quale i lavoratori “possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19”.
In tal caso, per tutta la durata della relativa validità della certificazione i datori di lavoro non dovranno controllare tali lavoratori. Ciò, secondo il Legislatore, nell’obiettivo di ”semplificare e razionalizzare le verifiche” (articolo 9-septies, comma 5, del decreto-legge n. 52/2021 convertito in legge n. 87/2021, introdotto dall’articolo 3-bis del decreto-legge n. 127/2021 convertito in legge n. 165/2021).
Come si ricorderà, in una prima fase la principale preoccupazione per i datori di lavoro era costituita dagli oneri organizzativi derivanti dalla necessità di effettuare i controlli circa il possesso della certificazione verde, nel rispetto delle garanzie di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nonché della salvaguardia della riservatezza dei lavoratori stessi, anche alla luce degli orientamenti del Garante della privacy in materia (oneri organizzativi in parte attenuati dalle diverse modalità di controllo previste nel DPCM 12.10.2021).
Tale nuova previsione legislativa, pertanto, rende legittima la possibilità per il datore di lavoro, prima esclusa, di conoscere la scadenza della certificazione verde, evitando pertanto, fino a tale data e fatte salve eventuali sopraggiunte novità, di controllare i lavoratori che, avendo completato il ciclo di vaccinazione o essendo guariti dalla malattia, conservano per settimane o mesi la validità della certificazione.
Durante la fase dell’iter parlamentare di conversione del provvedimento in legge, il Garante della Privacy è intervenuto con una comunicazione ufficiale rivolta al Governo e ai Presidenti delle Camere, ritenendo tale modifica legislativa non in grado di tutelare adeguatamente la riservatezza dei lavoratori in una materia, come quella della scelta in ordine all’effettuazione della profilassi vaccinale, particolarmente delicata.
Il presupposto del consenso del lavoratore alla consegna del “Green Pass”, infatti, non legittima, secondo il Garante, la facoltà di conservazione dei dati contenuti nella certificazione, “in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo”.
Aggiunge inoltre il Garante che corrette modalità di conservazione dei certificati impongono misure tecniche e organizzative tali da determinare certamente oneri economici significativi.
Nonostante la richiesta esplicita del Garante di approfondire tali aspetti, l’iter di conversione del decreto-legge n. 127 si è concluso con la conferma della disposizione citata.