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Circolari

059/2019/TO

Lo scorso 28 marzo la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata, sulle cause riunite C-487/17, C-488/17 e C-489/17, in tema di classificazione dei rifiuti con “codici specchio” e principio di precauzione, su cui avevamo dato precedentemente comunicazione in merito alle conclusioni dell’Avvocato Generale M. Campos Sanchez-Bordona (v. circolare n. 203/2018).

La pronuncia pregiudiziale segue ad alcune quesiti proposti nell’ambito dei procedimenti penali pendenti in Italia riguardanti, a diverso titolo, persone responsabili delle discariche o dei controlli che sono state denunciate per non aver trattato in maniera adeguata quei rifiuti di cui non si conoscesse la pericolosità, oppure che, secondo le procure, hanno eseguito studi non esaustivi e parziali su questi rifiuti.

Proprio sui casi su riportati la Corte di Cassazione Italiana ha chiesto alla Corte di giustizia se chi è in possesso di un rifiuto con “codice specchio” di cui la composizione non sia immediatamente nota debba ricercare se tale prodotto contenga una o più sostanze pericolose al suo interno, ed in caso di risposta positiva quali metodi debbano essere usati e con quali criteri. La Cassazione ha poi richiesto maggiori chiarimenti se nei casi di dubbio riguardo le suddette caratteristiche, o nell’impossibilità di determinarle con assoluta certezza, i responsabili debbano applicare il principio di precauzione e classificare in automatico il rifiuto come pericoloso.

Sul punto, secondo la Corte:

  • “[…] l’allegato III della direttiva 2008/98 nonché l’allegato della decisione 2000/532 devono essere interpretati nel senso che il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento n. 440/2008 o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale”;
  • ricorda poi la Corte di Giustizia che “[…] il legislatore dell’Unione, nel settore specifico della gestione dei rifiuti, ha inteso operare un bilanciamento tra, da un lato, il principio di precauzione e, dall’altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica, in modo che i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possano limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti in tale rifiuto e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze”;
  • Ne consegue che una misura di tutela come la classificazione di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari in quanto rifiuto pericoloso è necessaria qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di tale rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che detto rifiuto presenta”;
  • “[…] il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso”.

Nel rimandare alla sentenza, allegata alla presente, per ulteriori approfondimenti, restiamo a disposizione per ogni informazione ed aggiornamento in materia.

» 16.04.2019
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