La qualifica di rifiuto, ribadisce la Cassazione, va dedotta da dati obiettivi, non dalla scelta personale del detentore che decide che quel bene non gli è più di nessuna utilità.
Il principio è stato ricordato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 8 giugno 2023, n. 24680 in cui ha sottolineato come la qualifica di rifiuto, ai sensi dell'articolo 183, Dlgs 152/2006, collegata al "disfarsi" di un bene «deve essere dedotta da dati obiettivi, non dalla scelta personale del detentore che decide che quel bene non gli è più di nessuna utilità. Sono elementi obiettivi, ad esempio, l'oggettività dei materiali in questione, la loro eterogeneità, non rispondente a ragionevoli criteri merceologici, e le condizioni in cui gli stessi sono detenuti, così come le circostanze e le modalità con le quali l'originario produttore se ne era disfatto. Non rileva, poi, il fatto che un bene sia ancora cedibile a titolo oneroso, poiché tale evenienza non esclude comunque la natura di rifiuto».
Nel caso di specie il materiale risultava abbandonato sul terreno alla rinfusa ed esposto alle intemperie, concretizzandosi quindi oggettivamente la qualifica di rifiuto.
Quanto alla disciplina dei «sottoprodotti», di cui il ricorrente richiede l'applicazione, come noto, ai sensi dell'articolo 184-bis d. Igs. n. 152/2006, perché una sostanza possa qualificarsi come sottoprodotto occorre la concomitante presenza di una serie di requisiti e condizioni che vanno tutti rispettati e provati da chi vuole godere del regime di favore; in mancanza di una sola di dette condizioni, il residuo deve considerarsi un rifiuto.
Per ogni approfondimento si rinvia alla Sentenza della Cassazione disponibile al seguente link: 24680/2023 (giustizia.it).