Facciamo seguito alla nostra precedente circolare n. 157/2014 per trasmettervi la risposta di ASSONIME al quesito che UNIRE ha presentato a dicembre scorso in tema di TARI/TARSU, in particolare sull’individuazione della superficie tassabile per le imprese esercenti il servizio di recupero dei rifiuti (v. allegati).
In particolare, la questione sollevata riguardava la possibilità di ritenere non imponibili ai fini della TARI e della TARSU le superfici funzionalmente connesse all'attività di recupero dei rifiuti, in quanto produttive di rifiuti speciali e non urbani.
ASSONIME, dopo una disamina della normativa applicabile in tema di TARI (commi 641 e 649 dell’art. 1 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013) e TARSU (art. 62, comma 3 Dlgs. n. 507/93 e sentenza della Corte di Cassazione n. 16858 del 24 luglio 2014), nonchè delle recenti indicazioni fornite dal Dipartimento delle finanze (v. circolare UNIRE citata) confermate da ultimo con Risoluzione n. 2/DF del 9 dicembre 2014, è giunta alle seguenti conclusioni.
Sia pure con le necessarie cautele del caso - dovute al fatto che l’interpretazione delle Finanze non risulta condivisa da tutti i Comuni, in quanto molti continuano a ritenere tassabili i magazzini e le aree scoperte funzionalmente connesse al recupero dei rifiuti - ad avviso dell’interpellata le aree in cui i rifiuti vengono "depositati" prima della lavorazione per la selezione della "materia prima", le aree "di transito" del prodotto risultante dalle diverse fasi di lavorazione dei rifiuti e, infine, le aree di stoccaggio del risultato finale della lavorazione dei rifiuti dovrebbero ritenersi:
a) escluse dall'applicazione della TARI nel caso in cui siano costituite da magazzini, mentre nel caso in cui siano costituite da aree scoperte, esse dovranno ritenersi intassabili ai fini TARI qualora il contribuente dimostri il loro "asservimento" al ciclo produttivo e la loro idoneità a produrre in via continuativa e prevalente rifiuti speciali non assimilabili;
b) escluse altresì dalla superficie imponibile ai fini TARSU, tanto se costituite dai magazzini quanto se costituite da aree scoperte, a condizione che il contribuente dimostri la loro idoneità a generare rifiuti speciali non assimilabili.
Per le imprese che si occupano del recupero dei rifiuti, infatti, sembra logico ritenere che l'oggetto della lavorazione, proprio in ragione dell'attività di impresa svolta, perda la sua oggettiva natura di "scarto" e assuma quella di "materia prima" o dí "semilavorato" (indispensabile allo svolgimento della attività sia nel momento iniziale del processo di lavorazione sia nel corso di esso) oppure di "materia prima secondaria" o di "rifiuto speciale" (alla fine del processo di lavorazione). Ai fini dell'applicazione della TARI e della TARSU, cioè, i luoghi di lavorazione, stoccaggio, deposito o immagazzinamento dei "rifiuti" lavorati dalle aziende di recupero dovrebbero essere trattati allo stesso modo in cui vengono trattati i luoghi occupati dalle "materie prime", dai "semilavorati", dai "beni merce" e dagli "scarti di lavorazione" delle imprese che interessano altri settori produttivi.
«Un'interpretazione diversa, conclude ASSONIME, un'interpretazione cioè che riconoscesse l'imponibilità delle superfici funzionalmente connesse all'attività di lavorazione dei rifiuti solamente in ragione del "prodotto" lavorato, potrebbe rappresentare, al contrario, una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di libera iniziativa in campo economico poiché introdurrebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra le imprese che si occupano del recupero dei rifiuti e tutte le altre che "lavorano" beni diversi.»
Nel rinviare alla lettura della nota di ASSONIME allegata per ulteriori approfondimenti, inviamo cordiali saluti.