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268/2019/PE

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 42788/2019, si è pronunciata in materia di classificazione dei rifiuti e dei rifiuti con codici «a specchio», rigettando l’ordinanza impugnata e rinviandola al Tribunale per un nuovo esame.

La decisione in oggetto è avvenuta a seguito della pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia UE dello scorso 28 marzo 2019 (vedi circolare associativa n. 92/2019), la quale, interpellata dalla stessa Corte di Cassazione, rispose ai quesiti riguardanti i doveri e le modalità di analisi che gravano sul detentore di un rifiuto con codice «a specchio», nonché ai maggiori chiarimenti se, nei casi di dubbio riguardo le caratteristiche di un rifiuto o nell’impossibilità di determinarle con assoluta certezza, i responsabili debbano applicare il principio di precauzione e classificare in automatico il rifiuto come pericoloso.

La Corte di Cassazione, escludendo la “presunzione di pericolosità” che determina da parte del detentore, in mancanza di dimostrazione di non pericolosità, la classificazione del rifiuto come pericoloso, ha esposto che, sebbene non obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa, egli deve comunque ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarsi.

La Cassazione ritiene che, il necessario riferimento della Corte Europea riguardo l’impossibilità di imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di vista tecnico che economico, “non può assolutamente, a fronte di quanto più diffusamente stabilito dai medesimi giudici, essere utilizzato come pretesto per aggirare le precise indicazioni circa le modalità di qualificazione del rifiuto, essendo chiaro che se la composizione del rifiuto non è immediatamente nota (circostanza che rende, evidentemente, non necessaria l’analisi) il detentore deve raccogliere informazioni, tali da consentirgli una sufficiente conoscenza di tale composizione e l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato”.

Riguardo la raccolta delle informazioni, la Suprema Corte ha precisato che questa deve essere necessariamente effettuata secondo la precisa metodologia specificata dalla Corte di Giustizia nella sentenza pregiudiziale e perciò non deve prevedere esclusivamente il campionamento e l’analisi chimica, le quali, come espressamente indicati, devono peraltro offrire garanzie di efficacia e rappresentatività. A ciò consegue che l’analisi dei rifiuti «a specchio», al fine di determinarne la pericolosità, non deve riguardare solo le sostanze che in base al processo produttivo è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo poiché sarebbe una visione riduttiva.

Nel rimandare alla sentenza, in allegato alla presente, per ogni ulteriore approfondimento, rimaniamo a disposizione per ogni informazione e aggiornamento.

» 25.11.2019
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