La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35000 del 19 settembre 2024, ha stabilito che i capi di abbigliamento usati e poi dismessi non possono essere qualificati come sottoprodotti in quanto non derivano da un processo di produzione ma da un processo di consumo. Questo nell’ambito di un ricorso contro un sequestro di materiali tessili e abiti che non sono stati qualificati come rifiuti ma come materie prime secondarie o sottoprodotti.
A supporto della sua posizione la Suprema Corte ha evidenziato il fatto che gli abiti usati non sono neanche richiamati fra i criteri indicativi per dimostrare la qualifica come sottoprodotto dei residui di produzione, approvati con Dm 264/2016, regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti. Inoltre, secondo quanto espressamente stabilito dall'articolo 2 dello stesso provvedimento, detti criteri non si applicano ai "residui derivanti dall'attività di consumo".
Nella sentenza viene poi precisato che gli indumenti usati intercettati dal circuito urbano della raccolta sono invece oggetti di cui il detentore si è disfatto che quindi rientrano a pieno titolo nella definizione di rifiuto stabilita dal D.lgs. n. 152/2006. Pertanto per poter cessare di essere qualificati come rifiuti devono quindi essere sottoposti ad attività di recupero autorizzate in via ordinaria o semplificata.
Per maggiori dettagli si rimanda al testo della sentenza in allegato.