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Circolari

2024/159/SA-LAV/MI

Nei giorni scorsi è stata pubblicata l’Ordinanza in oggetto, che ha destato diverse preoccupazioni tra gli addetti ai lavori in relazione ai contenuti della stessa, in materia di validità degli accordi di conciliazione.

La Cassazione ha infatti affermato che la conciliazione “in sede sindacale”, così come previsto dall’art. 411, terzo comma, del codice di procedura civile, debba essere intesa in maniera restrittiva, ovvero escludendo in ogni caso che possa svolgersi presso una sede aziendale. 

Ciò in quanto tale situazione logistico/ambientale non assicurerebbe al lavoratore la totale indipendenza da possibili condizionamenti da parte del datore di lavoro, con la conseguenza che le rinunce e le transazioni avvenute sarebbero nulle o comunque potrebbero, ai sensi dell’articolo 2113 del codice civile, essere impugnate entro il termine di sei mesi.

Il caso di specie riguardava l’applicazione dell’articolo 2103, sesto comma, del codice civile, laddove dispone, a seguito della modifica legislativa del 2015, che “Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”.

Il lavoratore aveva infatti sottoscritto, con l’assistenza di un sindacalista ritenuta adeguata, un accordo con cui rinunciava a una parte della retribuzione a fronte della salvaguardia occupazionale; ciò avveniva presso la sede dell’azienda, con impegno a “ratificare” detto accordo presso “le sedi abilitate”.

Nel merito, sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Napoli hanno dichiarato nullo il verbale di conciliazione, nel presupposto che la sede fisica di sottoscrizione dell’accordo non fosse sufficientemente “neutra”: la protezione del lavoratore, sostiene l’Ordinanza (paragrafo 15), “non è affidata unicamente all’assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene” al fine di “garantire la libera determinazione” del lavoratore e l’”assenza di condizionamenti di qualsiasi genere”.

In sintesi, la conciliazione in sede sindacale non si può concludere validamente presso la sede aziendale, “non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile”

***

La pronuncia, oltre ad essere inedita sul punto, appare comunque in contrasto con una precedente recentissima ordinanza dello stesso organismo, la n. 1975/2024 del 18 gennaio u.s., la quale aveva affermato che il riferimento al luogo della sottoscrizione è puramente formale e non sostanziale.

Conseguentemente, si invitano le aziende alla massima prudenza, anche adottando rimedi coerenti con l’Ordinanza n. 10065, come ad esempio evidenziare nel verbale di conciliazione la piena consapevolezza delle rinunce, l’effettiva assistenza del rappresentante sindacale, la scelta condivisa dell’eventuale sede aziendale, l’eventuale raggiungimento dell’intesa sui contenuti precedentemente al mero svolgimento dell’incontro, etc.

Con l’auspicio che tale orientamento formalistico possa rimanere isolato, considerando le difficoltà pratiche che deriverebbero da un’applicazione generalizzata dei principi sanciti: si immagini ad esempio una fattispecie di conciliazioni individuali plurime di decine se non centinaia di lavoratori, iscritti a diverse sigle sindacali, o non iscritti, e alle conseguenti criticità derivanti dall’individuazione di molteplici sedi “neutre”.

» 24.05.2024
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