La Corte di Cassazione, con la sentenza 6782/2025, si è espressa in merito ad un ricorso avanzato dal rappresentante di una impresa che era stato condannato perché riceveva grossi quantitativi di rifiuti, costituiti da indumenti usati, accessori e prodotti tessili post consumo, e li commercializzava come MPS nel mercato dell’usato senza sottoporli ad un effettivo processo di trattamento e recupero. Tra i motivi del ricorso il fatto che questi, vista la modalità di raccolta, non possono considerarsi rifiuti.
Nella sentenza la Corte afferma che gli indumenti usati, per non essere considerati rifiuti, devono rispondere alle condizioni previste dalla Legge 166/2016 relativa alle disposizioni per la donazione e la limitazione degli sprechi. Il donatario deve essere uno dei soggetti previsti dall'articolo 2 della legge (enti benefici) e gli indumenti devono essere conferiti direttamente presso le sedi operative dei donatari. Se non ricorrono tali condizioni non si può applicare la disciplina più favorevole prevista dalla citata legge del 2016 per la cessione gratuita di indumenti usati.
Al contrario gli indumenti usati conferiti mediante cassonetti posizionati nella pubblica via o il ritiro porta a porta sono da considerare rifiuti e la relativa gestione deve rispettare la disciplina prevista dal D.lgs. n. 152/2006. La Cassazione ha quindi sottolineato che il soggetto che riceveva gli indumenti, raccolti dai cassonetti o tramite sistema "porta a porta", non era un ente benefico ma una società commerciale autorizzata al trattamento di rifiuti che era quindi tenuta a trattare i materiali ricevuti come rifiuti.
La Corte di Cassazione ha pertanto confermato la condanna del titolare della società per traffico illecito di rifiuti in quanto i rifiuti tessili venivano avviati al mercato dell'usato senza essere sottoposti al necessario processo di trattamento (tra cui l'igienizzazione).
Per maggiori informazioni si rimanda al testo della sentenza allegato.