Il Consiglio di Stato con la sentenza 2680/2025 si è pronunciato sul tema della legittimità di clausola territoriali del bando che limitano la partecipazione ad operatori economici qualora si tratti di recupero della FORSU.
Preliminarmente si evidenzia che, rispetto la giurisprudenza andatasi a consolidare in questi anni in materia, la sentenza – di segno opposto - non costituisce un precedente innovativo rispetto agli orientamenti già maturati in tema di clausole di limitazione territoriale e non può esserle attribuito un un rilievo che trascende la specifica gara in oggetto stante la peculiarità delle clausole che hanno caratterizzato la lex specialis.
Nel merito, una società in house attiva nel settore della gestione dei rifiuti aveva indetto una procedura aperta con il criterio del minor prezzo ai sensi dell’art. 108 D.lgs. 36/2023 per l’affidamento del servizio di recupero della frazione organica dei rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata. La società ricorrente (non partecipante alla gara) aveva lamentato l’illegittimità della previsione dell’art. 3 del disciplinare di gara, replicato dall’art. 7 del capitolato speciale d’appalto che, secondo la prospettazione attorea, avrebbe precluso ai concorrenti di partecipare alla gara se non indicando impianti di conferimento a distanze predeterminate dalla sede legale dell’azienda. L’illegittimità della relativa clausola del bando sarebbe derivata dalla violazione dei principi di accesso al mercato, di concorrenza e massima partecipazione.
I giudici - pur ammettendo una formulazione oscura ed equivoca da parte del bando di gara con riguardo ad alcune nozioni - si sono espressi in modo diverso rispetto gli ultimi e maggioritari orientamenti giurisprudenziali nonché il parere dell’ANAC (Delibera n. 1/2024) statuendo che: “[…] nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica in materia di trattamento di rifiuti, trova applicazione l’art. 181, comma 5, cod. ambiente, che impone alle stazioni appaltanti di privilegiare “anche con strumenti economici, il principio di prossimità degli impianti di recupero”. Le clausole oggetto di impugnazione, a ben vedere, rappresentano una applicazione del suddetto principio di prossimità, il quale trova il suo fondamento in ragioni di tutela ambientale, il che è sufficiente ad escludere il dedotto profilo di illegittimità”.
In tal senso, analizzando la sentenza, la motivazione sembra basarsi sul presupposto secondo il quale la specifica clausola del bando oggetto di impugnativa non avrebbe imposto la disponibilità di un impianto di trattamento nel circoscritto ambito territoriale indicato, essendo comunque possibile utilizzare un mero sito di primo “conferimento”, distinto dall’impianto “finale” di “destinazione” dei rifiuti, il quale ben poteva essere individuato senza limiti territoriali di sorta.
Al di là di ulteriori valutazioni, il Collegio non ha considerato che all’interno dei limiti territoriali non c’era alcun impianto di primo conferimento disponibile e che gli unici impianti ivi ubicati erano (di recupero) dei tre aggiudicatari dei lotti.
Nel far rinvio alla sentenza in oggetto, in allegato, rimaniamo a disposizione per informazioni.