I fanghi che derivano dalla depurazione delle acque reflue sono soggetti al regime dei rifiuti solo dopo la fine del processo di trattamento effettuato nell'impianto di decontaminazione, come prevede il D.lgs. n. 152/2006.
A confermarlo è il Consiglio di Stato che, nella sentenza 10 febbraio 2025, n. 1064, ricorda che l'articolo 127 del D.lgs. n. 152/2006 indica chiaramente il confine tra "acque" e "rifiuti". Le norme in materia di rifiuti si applicheranno all'esito del processo depurativo in cui i fanghi in uscita saranno gestiti come scarti e avviati agli impianti di gestione dei rifiuti. Prima della finalizzazione della depurazione si applica la normativa sulle acque di cui alla Parte III del citato D.lgs. n. 152/2006.
La questione oggetto del presente giudizio attiene alla qualifica di rifiuto da attribuire ai fanghi trattati dalla società ricorrente che, con ricorso di primo grado, ha impugnato la decisione con cui la Provincia di Frosinone ha negato alla stessa società la facoltà di trattare, ai sensi dell’art.110, comma 3, D.lgs. n. 152/2006, presso un suo impianto di depurazione, i fanghi prodotti da altri impianti di depurazione gestiti dalla medesima società e posti sul territorio provinciale, ma “sprovvisti di adeguata linea di trattamento dei fanghi”, perché non è tecnicamente ed economicamente vantaggioso realizzarvi anche le fasi di stabilizzazione aerobica e di disidratazione meccanica”.
La normativa è chiara, per i Giudici, nel considerare tali materiali come "non rifiuti" in quanto l'impresa "intende trasferire i fanghi in un altro impianto idoneo a trattare i fanghi che non hanno ancora completato il processo di depurazione e tanto basta per escluderne la qualifica di rifiuto perché (...) l'azienda non intende disfarsi e, comunque, non si disfa dei fanghi medesimi, ma li trasferisce in altro impianto al fine di completare il processo depurativo."
Per ogni approfondimento si rinvia alla Sentenza del Consiglio di Stato.