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221/2019/TO

Con sentenza del 26 settembre 2019, causa C-63/18, la Corte di Giustizia Europea ha confermato (dopo la lettera di messa in mora all’Italia del gennaio scorso) l'anomalia della disposizione prevista dal D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti) che limita il ricorso al subappalto.

Secondo la Corte di giustizia europea, l'art. 105, comma 2 del Codice dei contratti, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi, sarebbe contrario alla normativa comunitaria.

Al fine di combattere le infiltrazioni criminali negli appalti pubblici gli Stati membri possono rendere più rigidi i paletti previsti dalle direttive europee, ma una restrizione come quella dettata dal Codice dei contratti pubblici del 2016 sembrerebbe eccedere quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.

La sentenza della Corte di Giustizia Europea segue alla richiesta dei giudici del TAR Lombardia che, con ordinanza del 19 gennaio 2019, n. 148, avevano formalizzato la questione pregiudiziale relativa ai limiti per il subappalto, previsti indifferentemente per lavori, servizi e forniture all’art. 105, comma 2, d.lgs. n. 50/2016.

Con la proposizione di tale questione pregiudiziale il TAR Lombardia ha richiesto alla Corte di Giustizia europea di fornire risposta al dubbio relativo alla possibile violazione dei principi di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e di proporzionalità, nonché dell’art. 71, Direttiva 2014/24/UE, che non prevede alcun limite per il subappalto.

La Corte di giustizia europea in un passaggio della sentenza precisa che “la normativa nazionale di cui al procedimento principale vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore” aggiungendo, anche, che “Ne consegue che, nell’ambito di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”.

La conclusione è, quindi, quella che una restrizione al ricorso del subappalto come quella di cui trattasi nel procedimento non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24 e che, pertanto, la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

Nel rimandare al provvedimento, allegato alla presente, per ulteriori approfondimenti, restiamo a disposizione per ogni informazione e aggiornamento in materia.

» 30.09.2019
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