AssoAmbiente

Circolari

2022/253/SA-LAV/MI

Si segnala la sentenza in oggetto evidenziata, pubblicata poche settimane fa e riportata per esteso in allegato, poiché di specifico interesse per il settore, ed in particolare per i datori di lavoro alla luce dei principi evidenziati.

La vicenda riguarda infatti il decesso di un pedone a seguito di investimento da parte di un autocompattatore condotto dal dipendente di un’azienda di raccolta rifiuti, il quale “percorrendo in retromarcia una via posta in un'area privata, per raggiungere la via pubblica, dopo avere terminato l'operazione di carico dei rifiuti, investiva la persona offesa, che si trovava sul lato posteriore del mezzo (proprio per gettare rifiuti nel cassonetto, ndr), in posizione non visibile al conducente, in quanto posta in un cono d'ombra, non raggiungibile dalla visione degli specchietti retrovisori e dalla telecamera posteriore del veicolo”.

I fatti sono dettagliatamente riportati nella sentenza.

In relazione a tale vicenda, il Tribunale di Alessandria prima e la Corte d’Appello di Torino poi (sia pure con una diminuzione della pena) hanno condannato il datore di lavoro-rappresentante legale (per non aver adottato “appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio”, d. lgs. n. 81/2008, art. 18, comma 1, lettera “q”), il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, e un preposto, tutti per il reato di omicidio colposo.

Ciò in quanto i due giudizi hanno considerato l’incidente stradale occorso in occasione dell’attività lavorativa, con violazione delle norme antinfortunistiche, per cui le disposizioni rivolte alla tutela dei lavoratori debbono estendersi all'incolumità dei terzi presenti sul luogo di lavoro.

Le violazioni imputate sono quindi:

  • la mancata previsione nel DVR di misure atte a prevedere danni alle persone, che vengano a trovarsi nel raggio di azione dei mezzi;
  • la mancata esecuzione di sopralluoghi ove si procede alla raccolta per la compilazione delle schede di indagini e valutazione dei rischi;
  • il non avere munito il mezzo di dispositivi idonei a consentire al conducente di esplorare in modo completo la manovra di retromarcia;
  • il non avere previsto l'ausilio di un secondo operatore per consentire al conducente di effettuare le manovre in sicurezza.

 

Ininfluente, secondo le due pronunce, la condotta della vittima, nonostante gli accertamenti processuali ne avessero rilevato l’obiettiva pericolosità, anche per le caratteristiche soggettive della persona.

A seguito di ricorso in Cassazione, di contro, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello sancendo l’assoluzione degli imputati “per non aver commesso il fatto”.

Nelle motivazioni si legge che il sinistro, pur avvenuto in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa, non è causalmente connesso alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, essendosi il rischio concretizzatosi al di fuori della sfera di gestione del datore di lavoro, che si è limitato ad adibire all’attività un automezzo omologato in modo specifico per l’uso cui risulta impiegato.

Il sinistro è piuttosto riferibile alla circolazione stradale, essendo dipeso dalla presenza di utenti su un tratto stradale, e cagionato dalla strutturale difettosità di un automezzo regolarmente omologato (ovvero il cono d’ombra in retromarcia e la non visibilità riconducibile al mezzo, nell’inconsapevolezza del lavoratore).

Se è pur vero quindi che il datore di lavoro deve garantire l’incolumità dei terzi oltre che dei dipendenti che si trovano sul luogo di lavoro, è escluso che il datore possa mettere in sicurezza aree su cui non ha potere, dovendo limitarsi a scegliere il veicolo adatto, come nel caso di specie l’autocompattatore omologato per essere utilizzato da un solo operatore.

» 30.09.2022
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