AssoAmbiente

Circolari

2025/021/SA-LAV/MI

L’articolo 13 della legge in oggetto, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 28 dicembre, dispone, andando ad integrare le precedenti norme in materia (vedi articolo 7, comma 2, del d. lgs. n. 104/2022) che la durata del periodo di prova per i contratti a tempo determinato, oltre a dover essere “proporzionale alla durata del contratti e alla mansione da svolgere” è ora stabilita “in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro”, facendo tuttavia salve “le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva”. 

Ancora, la nuova previsione legislativa dispone che “in ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.

La disposizione, in vigore dal 12 gennaio u.s., forse in un eccesso di “dirigismo normativo”, entra nel merito del numero di giorni di cui deve essere costituito il periodo di prova nei contratti a termine; preoccupandosi, da un lato, che non risulti talmente lungo da rendere praticamente l’intero contratto a termine sottoposto ad un regime di libero recesso reciproco, e per altro verso, quantificandone limiti minimi e massimi non chiari.

Se infatti il periodo di prova è quantificato in “un giorno di effettiva prestazione ogni quindici di calendario”, non è chiaro il limite posto dal periodo successivo: quindici/trenta giorni per i contratti fino a e oltre i sei mesi, limiti che non si raggiungerebbero mai calcolando un giorno ogni quindici (due al mese: massimo dodici giorni per contratti fino a sei mesi, e ventiquattro per contratti inferiori a dodici mesi).

In attesa di un auspicabile chiarimento da parte del Legislatore o del Ministero del Lavoro in via interpretativa, si rende necessario verificare la sovrapposizione di tale normativa con le previsioni in merito contenute nel CCNL di categoria (la circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro pubblicata il 30 dicembre 2024 non aggiunge nulla al testo normativo, trattandosi di un mero riepilogo riassuntivo della legge, senza alcun commento o interpretazione sull’argomento).

Come noto, infatti, il periodo di prova nei contratti a termine è disciplinato nello specifico articolo 11 al comma 11 laddove dispone che “la durata dell’eventuale periodo di prova non può superare un sesto dei giorni calendariali della durata del contratto di lavoro a tempo determinato e comunque non può superare l’equivalente periodo previsto per le assunzioni a tempo indeterminato”.

Alla luce della sopraggiunta normativa di legge, pertanto, l’articolo 11, comma 11, del CCNL 18.5.2022 appare illegittimo se applicato ai contratti a tempo determinato, poiché il periodo di prova ivi previsto (cinque giorni/ mese circa) supera il riferimento legislativo ai due giorni/mese.

La disciplina contrattuale non può ovviamente essere considerata “più favorevole” e quindi “fatta salva”; pur se l’istituto del periodo di prova ha notoriamente carattere neutrale essendo destinato a consentire a entrambe le parti del rapporto di lavoro di valutare se consolidare, o meno, il contratto, è noto che la libera recedibilità per un periodo più lungo favorisce il datore di lavoro, altrimenti soggetto al regime più rigido in materia di licenziamenti individuali.

Non è peraltro scontato che un periodo di prova molto breve, ridotto a pochissimi giorni, possa risultare di miglior favore per il lavoratore, ritrovandosi anch’esso a dover valutare troppo rapidamente la convenienza circa la prosecuzione del rapporto.

E’ ad ogni modo opinabile la scelta del Legislatore di considerare in misura fissa il numero massimo di giorni di prova, indipendentemente dalla qualifica del lavoratore.

Altre criticità sono legate alle assunzioni per sostituzione, in quei casi in cui non via sia certezza sulla scadenza del contratto poiché sottoposto a condizione risolutiva (il rientro del lavoratore sostituito dalla malattia o dalla maternità), essendo impossibile valutarne anticipatamente la durata per poter quantificare i giorni di prova; e alla determinazione del periodo di prova per i contratti di durata pari a dodici mesi e oltre, poiché la legge si limita a stabilire la regola relativamente ai contratti “di durata inferiore a dodici mesi”.

***

In conclusione, pur derivando l’intervento legislativo da fonti di diritto comunitario, la sensazione è che, su un tema oggettivamente di ridotta rilevanza, siano stati prodotti più criticità e dubbi di quanti siano stati risolti; il rinvio alla contrattazione collettiva sarebbe stato sufficientemente tutelante per i lavoratori, senza la previsione di ulteriori limiti poco comprensibili.

 

» 21.01.2025

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